La parola CRISI, dal greco “krino”, significa separare, cernere, valutare. Essa prevede quindi una rottura, un cambiamento ma anche una possibilità di scelta, una rinascita.
Quando ci sentiamo in crisi, il nostro sistema di credenze, le nostre convinzioni, oppure le relazioni che stiamo vivendo o i contesti di vita vengono messi in discussione, non li sentiamo più adatti a noi o in grado di rispecchiare le nostre aspettative e soddisfare i nostri bisogni. Si attuano allora dei tentativi di cambiamento per riadattarsi e ritrovare il proprio agio. Spesso, avviene spontaneamente un riadattamento alla situazione, perché mettiamo in atto le nostre risorse e capacità di resilienza. Altre volte, abbiamo bisogno di rivolgerci a un esperto, per capire cosa ci sta dicendo questa crisi e come uscire dall’enpasse. Come dice l’etimologia della parola, la crisi ci porta ad affrontare una rottura da una situazione che stiamo vivendo, di fronte alla quale non possiamo fare altro che attuare un cambiamento. Se ci poniamo di fronte a questa crisi con uno sguardo di curiosità e ascolto, possiamo trasformarla in una occasione di evoluzione e rinascita, intesa come possibilità di far emergere nuove parti di sé. Prova a fermarti e a rispondere a questa domanda: Di fronte a una situazione di crisi che hai vissuto, cosa hai fatto per affrontarla? A volte, può sembrarci di non aver fatto nulla per affrontare la crisi, di essere stati completamente passivi e inermi di fronte a ciò che ci stava capitando. In realtà, anche il non fare nulla è una azione, a volte può essere anche una reazione utile per la sopravvivenza. Altre volte, pensare di non aver fatto nulla può parlarci del nostro sentirci impotenti di fronte alle avversità o agli imprevisti. Anche questo è un messaggio su di noi da non sottovalutare! Quando si vive una situazione critica, il disagio emotivo che si sta vivendo può portare a non essere consapevoli di ciò che stiamo facendo per affrontarla. Spesso, è solo dopo aver superato il momento critico che riusciamo a riconoscere il nostro contributo e, rinarrandolo, riusciamo a dare valore anche a delle piccole azioni fatte inconsapevolmente. È a posteriori che riusciamo a guardare con uno sguardo diverso il periodo appena vissuto. Prova a rispondere a questa domanda: Riguardando a posteriori un periodo di crisi che hai vissuto, da cosa ti ha permesso di “rompere”? Una crisi ci segnala che qualcosa che stavamo facendo o come lo stavamo facendo non è più adatto: una crisi evolutiva, una crisi in una relazione, una crisi lavorativa, una crisi esistenziale… È come se le strategie che abbiamo messo in atto fino a questo momento non fossero più funzionali per il presente e per il futuro. Metterle in discussione ci fa sentire spaesati, persi, senza punti di riferimento (quante volte ci è capitato di restare in situazioni faticose ma almeno note?). In realtà, la crisi ci richiede un cambiamento ma, allo stesso tempo, è già di per sé segnale che qualcosa è cambiato. Prova allora a chiederti: Cosa posso fare di diverso, per far andare avanti le cose in modo diverso? Se stai vivendo un periodo di crisi e vuoi capire come affrontarla, contattami per un primo colloquio gratuito.
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In un processo di cambiamento, il fallimento è una tappa indispensabile.
Il fallimento ci segnala che non avevamo preso in considerazione qualcosa che ci ha ostacolato nel percorso. Quando falliamo, tutto il pezzo fatto fino a qui fa già parte di noi. Non ha senso (ed è impossibile) ricominciare da capo. Per difenderci ci può capitare di negare, discolparci (dando la colpa all’esterno), diventare aggressivi (la paura e la tristezza spesso si mascherano con la rabbia), mentiamo per apparire migliori. Oppure, ci affossiamo. In questi casi, il nostro giudice interiore è all’azione per sgridarci e mortificarci (a volte, dando voce a ciò che temiamo possano pensare gli altri di noi). Il giudizio e la critica eccessivi non fanno bene a nessuno, non migliorano ma mortificano e indeboliscono. Solo se ci sentiamo capiti, compresi e accettati così come siamo (imperfetti!) allora riusciamo a reagire alle avversità. Ecco una proposta di esercizi che puoi fare per ammorbidire il tuo giudice interiore: 1. Ascolta cosa ti dici, facci caso: quali parole e frasi ricorrenti usi per criticarti, con quale tono, con quale messaggio su di te. Prova a pensare se questa voce interiore ti ricorda qualcuno che in passato ti criticava proprio allo stesso modo (forse allora quella voce è sua e non tua, restituiscigliela!) 2. Parla con il tuo giudice interiore, ringrazialo per la sua presenza ma digli (non gentilezza!) che non ti è utile così. Mostragli in che modo le sue parole possono esserti utili: riformula i suoi giudizi contestualizzandoli e prova a capire cosa puoi fare per migliorare. 3. A volte, ci viene più facile essere più comprensivi con gli altri e meno con noi: prendiamo esempio dal modo in cui trattiamo gli altri. Altre volte, ci scarichiamo meglio se trattiamo male gli altri e desideriamo che gli altri ci comprendano: facciamo agli altri quello che vorremmo ricevere noi. Per saperne di più sul pensiero critico guarda "Un paio di occhiali neri" del progetto "Sei paia di occhiali per allenare il benessere". I bambini lo fanno spontaneamente, da subito: piangono, protestano, assillano per ottenere ciò che vogliono, chiedono mille volte perché per conoscere e capire il mondo che li circonda, chiedono se possono fare qualcosa per potersi mettere in gioco e sentire utili e capaci.
Poi si cresce, si impara a diventare autonomi, si deve diventare autonomi e se chiedi una mano puoi iniziare a ricevere dei rifiuti. Non solo, delle squalifiche: “insomma, non posso mica sempre esserci io ad aiutarti, sei grande, devi cavartela da solo”. E così si apprende che crescere, diventare grandi, vuol dire diventare indipendenti ma anche soli. In realtà, autonomia vuol dire sì essere capaci di fare le cose per proprio conto, ma non toglie uno dei bisogni e delle caratteristiche fondamentali dell’essere umano: siamo animali sociali, siamo immersi nelle relazioni, siamo interconnessi. E questo vuol dire che possiamo appoggiarci uno sull’altro, sostenerci, dimostrarci vicinanza, amore, gratitudine. Possiamo chiedere. Quante volte quando un nostro amico o parente è in difficoltà noi diciamo “se hai bisogno sono qua, chiedi!”. Saper chiedere è utile per chi fa la richiesta, perché non ci fa sentire soli, e anche per chi la riceve: ci fa sentire utili, importanti per chi ci chiede la nostra presenza (che sia una mano, un po’ di tempo, un consiglio, un gesto di affetto). "Se lo chiede proprio a me è perché sono importante, ci tiene a me!" Perché allora ci viene così difficile chiedere? Perché siamo stati educati a non avere bisogno dell’altro, perché bisogna essere forti, capaci, integri, perfetti. Se chiedi sei debole, se chiedi mostri le tue fragilità, se chiedi ti metti in balia dell’altro. È vero, mostri le tue fragilità, i tuoi bisogni. È vero, ti metti in balia dell’altro perché gli lasci il potere di decidere se assecondare la tua richiesta oppure no. Ma non è segno di debolezza, bensì di forza e consapevolezza di sé. Se chiedo ti mostro anche chi sono io, ti dimostro la mia direzione, ti mostro i miei bisogni e cioè ti dimostro che so chi sono e che non ho paura a mostrarmi. Dimostro che ho bisogno di te, che voglio stare nella relazione con te. Ed è un grande gesto di coraggio mostrare i propri sentimenti! Cosa ci fa paura del chiedere? Tre cose: 1. che l’altro possa dirci di no! La paura del rifiuto è una delle paure più diffuse per quanto riguarda il nostro mondo sociale: sentirsi dire no non piace neanche ai bambini perché si sentono limitati e non riconosciuti. Figuriamoci da adulti! Ci sentiremmo profondamente feriti, dubiteremmo del nostro valore. Allora meglio prevenire, meglio dirci di no da soli e chiuderci in un vittimismo che ci fa sentire soli e sfiduciati nei confronti degli altri. 2. Che l’altro possa vedere il nostro lato debole e quindi rovinare la nostra immagine sociale: devo essere forte, autonomo, indipendente, praticamente perfetto. Meglio difendermi e non chiedere! 3. Che l’altro non mi conosca veramente e quindi che possa mettere in dubbio la relazione: non chiedo, ma pretendo che l’altro faccia certe cose per me, lo dovrebbe già sapere prima ancora di chiederlo! Ricordatevi: il chiedere è un atto spontaneo, anche il rispondere lo è! Sono libero di chiederti qualcosa e ti lascio la libertà della tua risposta. C’è fiducia, rispetto, gentilezza in questo scambio. Se pretendo, mi lamento, piagnucolo, faccio un capriccio tolgo la libertà, obbligo, divento arrogante, vincolo l’altro. E sicuramente ciò che riceverò sarà un rifiuto, se non alla mia richiesta sicuramente al mio bisogno di riconoscimento. Quante volte ci sarà capitato di arrivare a un certo punto e non farcela più… iniziamo a sentirci nervosi, agitati, irritati. Iniziamo a sentirci stretti dentro il ruolo, il compito o il dovere che stiamo svolgendo, iniziamo a provare frustrazione perché non vorremmo essere qui in quel momento. Iniziamo ad accusare gli altri e la situazione che ci complicano la vita o che ci costringono a fare o diventare ciò che non vogliamo.
Ecco, in tutte queste situazioni, è importante fermarsi e scegliere! Quando arriviamo a toccare il nostro limite e a crollare, vuol dire che abbiamo perso il controllo delle nostre azioni e la libertà di azione. Ci sentiamo in preda alla situazione, vittime di un sistema che non abbiamo voluto, costretti a fare ciò che più si allontana dal nostro volere. E stiamo male. In questi momenti, è importante fermarsi, perché i sentimenti che stiamo provando sono un chiaro segnale del nostro malessere. Ed è importante chiedersi dove ci siamo persi, dove abbiamo perso la libertà di scelta delle nostre azioni. Nello sviluppo, la fase dei “no” è fondamentale (infatti compare ben 2 volte durante la crescita: intorno ai 2 anni e nell’adolescenza) perché ci permette di introdurre una alternativa ai “sì”, così anziché accettare per obbligo o sottomissione, accettiamo perché lo scegliamo, perché lo vogliamo. Allo stesso modo, sapere che possiamo scegliere di continuare a fare ciò che facciamo perché abbiamo a disposizione la possibilità di smettere, rende le nostre azioni libere e volute, non obbligate o imposte. E questo ci permette di acquisire padronanza di noi stessi. Quando ci chiediamo “ma perché sto facendo questo?” possiamo:
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AutoreSono Anna Gigliarano, psicologa psicoterapeuta sistemica. Categorie
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